Come stare bene con sé stessi?

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La maggior parte delle persone pensano che per stare bene bisogna essere felici, e quindi non soltanto ricercano la felicità ma si sforzano anche di tenersela stretta.


La felicità è sicuramente uno stato piacevole che tutti vorremmo sperimentare il più possibile nella vita. Lei compare durante un bacio con la persona amata, un tramonto, o il raggiungimento di un traguardo tanto atteso, per farci assaporare al meglio ciò che stiamo vivendo in quel momento.

Una delle sue funzioni è proprio quella di farci capire che possiamo essere soddisfatti per ciò che abbiamo fatto o ci è capitato, mettendo un freno alla continua spinta del fare. 

Per questo dobbiamo pensare alla felicità come uno stato transitorio, che quando finisce ci spinge a ritrovarlo dando vita a una giostra con un continuo sali e scendi.


Tutte le emozioni hanno delle caratteristiche che le accomuna: sono soggettive, momentanee, ci spingono ad agire, hanno un valore comunicativo e sono adattive. 

Infatti senza emozioni non potremmo vivere.

Tutte le emozioni sono una risposta ad uno stimolo, esterno (ambiente) o interno (pensiero o ricordo), e innescano nel corpo e nella mente una serie di reazioni viscerali, ormonali, fisiche-muscolari, espressive e di pensiero che ci predispongono all’azione.

Non solo quelle più “piacevoli” ci permettono di affrontare al meglio le situazioni della vita ma anche quelle più “spiacevoli” hanno un incredibile funzione.


Ad esempio la paura innesca in noi una risposta di attacco o fuga. È l’emozione per la quale l’essere umano, ma anche gli altri animali, nel corso dei millenni ha potuto ritirarsi e rifugiarsi evitando i pericoli della vita per sopravvivere. Ad oggi la paura è collegata spesso agli obiettivi da raggiungere nel lavoro, nello studio e in qualsiasi situazione di prestazione. Spesso ci blocca, a livello mentale abbiamo tantissime preoccupazioni, a livello corporeo sentiamo delle forti strette allo stomaco, un irrigidimento del corpo e un atteggiamento autoprotettivo. Ma se utilizzata bene questa può essere una grande spinta nel prepararsi al compito che dobbiamo affrontare.


La rabbia invece innesca in noi una risposta energica per via di un ostacolo che si frappone tra noi e l’oggetto del desiderio. Questa energia è molto importante e viene stimolata per abbattere questi ostacoli. Ad esempio molto spesso proviamo rabbia quando qualcuno non ci comprende, o quando al lavoro ci viene additata una colpa o un eccesso di mansioni senza riconoscimento. In questo caso l’oggetto del desiderio è la nostra immagine, la nostra dignità. A livello corporeo ed emotivo sentiamo una forte carica nei muscoli grandi della schiena, delle braccia e delle gambe e una forte voglia di agire contro qualcuno o qualcosa questa energia. Se canalizzata è un enorme risorsa.


La tristezza innesca in noi una risposta di chiusura. Sopraggiunge quando ci sentiamo soli, non capiti o non compresi, o quando perdiamo qualcuno che sentivamo come una parte di noi. Questa emozione serve per richiedere all’altro un conforto, un abbraccio, un sostegno: è il nostro meccanismo naturale di ricerca di affetto. A livello corporeo avviene un ritiro e una chiusura del “cuore” mettendo delle barriere attorno ad esso. La sofferenza è fondamentale in quanto ci spinge verso un cambiamento.


Quindi le emozioni sono una parte fondamentale di noi ma se vengono inibite o represse diventano disfunzionali. 

Quante volte ci hanno detto “dai non piangere!”, o peggio “non essere triste”, “non ti arrabbiare”, “non aver paura” spingendoci ad inibire quello che sentivamo? Sin da piccoli i genitori, i nonni, gli insegnanti e gli educatori ci hanno insegnato che non tutte le emozioni possono essere espresse. Abbiamo imparato egregiamente l’arte del mascheramento, ci siamo abituati a reprimere e a nascondere pur di non mostrare.

In una società dove siamo portati a prevaricare gli altri, a lottare per posti di lavoro, a lottare per avere una immagine migliore dell’altro, non possiamo certo farci vedere deboli.

Esprimere emozioni liberamente, parlarne, condividerle non è una cosa per molti al giorno d’oggi.

Le relazioni sono sempre più superficiali e meno profonde. Non siamo abituati a parlare di cosa sentiamo, di cosa proviamo e c’è paura nel parlarne perché aprendoci all’altro mostriamo realmente noi stessi, e questo ci sembra pericoloso, ci fa sentire vulnerabili. 

“Bisogna essere tosti!” “Farsi vedere capaci, prestanti, duri e senza sofferenze”.



Quando la rabbia viene trattenuta, genera tensioni corporee nelle gambe, nella schiena, nella mandibola, irrigidisce il respiro e il diaframma, e a livello mentale innesca una serie di pensieri di rancore e vendetta che limitano la capacità di rilassarsi e gioire.


La tristezza, viene occultata perché considerata una debolezza. Non esprimendola si creano nodi alla gola, vengono trattenute le lacrime, e si tende a distanziarsi dagli altri sempre di più per non soffrire nuovamente. 


Anche la paura viene mistificata. Si pensa che chi la prova non è coraggioso, capace o forte. 

Combattendola si creano delle tensioni nel corpo, delle fitte a livello viscerale, muscolare e cefalico, fino ad arrivare, nei casi più estremi, a gastrite e cefalee. Sul piano mentale diventiamo sempre più controllanti e ansiosi. Ad esempio una peculiarità degli attacchi di panico è l’aver lottato contro la paura per troppo tempo.


Questi e molti altri tentativi di controllare le nostre emozioni, hanno l’effetto opposto.

In maniera paradossale infatti, ricercare la felicità, ci rende infelici, cercare di non arrabbiarsi, ci rende più nervosi e cercare di evitare la tristezza ci rende più tristi.


Il controllo di una cosa che non può essere controllata per sua natura, non può funzionare.

Il credere di poter controllare tutto è un illusione della nostra mente.


Bisognerebbe imparare ad osservare, riconoscere ed accettare quello che siamo. 

Siamo delle masse di energia in movimento: gli istinti affiorano dal basso attraverso il nostro corpo, i pensieri dall’alto ci influenzano e le emozioni sono al centro a rappresentare il cuore del nostro essere.

In una società “mentale” come la nostra, bisogna tornare ad avere più contatto con il proprio corpo, a stare con i propri vissuti e le proprie emozioni per imparare ad accettarle. 


Siamo portati a giudicare e categorizzare ogni cosa. A tutto viene dato un valore, un giudizio, positivo o negativo, bianco o nero, bene o male. Questo perché solamente dando un valore alle cose riusciamo ad orientarci nel mondo. È meglio dare un valore per poterlo confrontare con quello di un altro piuttosto che osservare semplicemente l’unicità della cosa e accoglierla. Se non so come la pensano gli altri non ho la sicurezza che il mio punto di vista possa piacere o essere valido. E se così non fosse sono sbagliato, altro giudizio. E così via.


Si stima che produciamo oltre 60000 pensieri al giorno, di cui la maggior parte sono negativi. Un enorme chiacchiericcio autoriferito fatto di credenze e parole che inevitabilmente ci condizionano.

Spesso il pensiero non rispecchia ciò che sentiamo. “La mente, mente” diceva Osho.


Bisogna imparare a staccare la mente ogni tanto. Imparare ad osservare i nostri pensieri e a riconoscere che non sono realmente ciò che siamo. La mente va nel futuro, vive nel passato ma raramente sta nel qui e ora. 

Bisogna imparare a vivere il presente per godersi realmente ogni attimo della giornata. 

La vita è una, i momenti sono limitati. Saper vivere ogni momento essendo presenti con se stessi e con gli altri è un dono di cui solo noi esseri umani possiamo godere.


Riassumendo: entrare in contatto con il sé, osservare senza giudicare, in maniera gentile, momento dopo momento. 

Una pratica che va in questa direzione è la meditazione. Una cosa vecchia come il cucco.

Migliaia di anni fa veniva praticata da quasi tutti e oggi ritorna più forte che mai. 

Sotto altri nomi, sotto altre vesti, adattata ai bisogni della nuova società: Mindfulness, piena consapevolezza, assenza di mente.

Una pratica, uno strumento e un modo di vivere, a seconda del bisogno, che ci porta in contatto con noi stessi, che ci insegna ad osservare senza giudicare e soprattutto ad accettare attimo dopo attimo ciò che si manifesta. 


Ci insegna ad essere più presenti e centrati nella vita di tutti i giorni.

Ad oggi viene sempre più utilizzata per molti scopi; gli psicologi, i psicoterapeuti, e anche i medici hanno iniziato a riconoscere l’importanza di queste pratiche solamente una ventina di anni fa.

Più di 200000 ricerche di provata efficacia nel trattamento della riduzione dello stress, dei disturbi d’ansia e depressione negli ultimi due anni.


E quindi, tornando al quesito iniziale... come si fa a stare bene con sé stessi? 


Imparando ad accettare tutto ciò che ci si presenta dentro, anche gli stati emotivi ”spiacevoli”, senza avere controllo sulle cose, è un buon inizio. Con il tempo e con la pratica, sarà la felicità ad arrivare a noi, senza neanche rendercene conto.


Se sei curioso e hai voglia di approfondire, contattami.


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